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articolo a cura di Rosella Morelli
Un anno fa, il 1 febbraio 2021, i militari hanno ripreso il potere assoluto in Myanmar con il colpo di stato che ha stravolto l’esito delle elezioni realizzate nel novembre 2020 e interrotto così quel percorso di democrazia imperfetta ma comunque democrazia in divenire, difficilmente instaurata dal 2015.
La reazione della popolazione è stata massiccia e corale contro il ritorno dei militari che operano con la stessa violenza degli anni passati, che i più credevano di essersi lasciati definitivamente alle spalle.
Le manifestazioni popolari hanno portato a una crudele repressione: all'inizio dello scorso dicembre si riportavano 1302 vittime civili e più di 10.000 persone in carcere. La stessa leader Aung San Suu Kyi è da allora agli arresti domiciliari interrotti da alcune sessioni di un processo burla celebrato contro di lei e membri del suo governo, come il presidente Win Myint. A suo carico accuse pretestuose che comunque l’hanno fatta condannare a 2 più 4 anni di reclusione. In attesa rimangono altre incriminazioni su cui emanare la condanna definitiva che, dato i precedenti, non può che concludersi con ulteriori anni di carcere o detenzione ai domiciliari.
Il governo votato alle elezioni e che non ha potuto insediarsi per il golpe ha costituito il Governo di Unità Nazionale (GUN) in esilio, che opera con un assetto strutturato da una sede ignota. In quest'anno alcuni membri del GUN hanno avuto incontri alle Nazioni Unite o con altri rappresentanti internazionali ma con scarsi risultati. Il 13aprile del 2021 il Comitato di Rappresentanza del Pyidaungsu Hluttaw (il parlamento in esilio) ha eletto vice-Presidente del GUN Duwa Lashi La, Presidente del Consiglio Consultativo Nazionale Kachin. Il 7 settembre 2021 Lashi La ha fatto appello ai gruppi di autodifesa popolare perché iniziassero la rivolta armata contro il regime. Lashi La ha affermato di ritenere che la comunità internazionale avrebbe compreso le ragioni della sua dichiarazione. "Credo che i nostri paesi vicini, i paesi dell'ASEAN, le Nazioni Unite e tutti gli altri paesi del mondo capiscano che lo facciamo per necessità in base alla situazione attuale del paese", ha detto.
Gli organismi internazionali in quest’anno hanno cercato di manifestare il loro rifiuto al golpe con sanzioni diventate strumenti sempre più deboli in quanto non riescono a mettere in difficoltà generali e militari abituati alla pubblica condanna e fortemente motivati a difendere i propri interessi di potere e i loro privilegi economici.
Per il generale in capo, Min Aung Hlaing, l'esito del golpe da lui diretto non è stato sempre scontato: i rapporti con i suoi vicini asiatici rappresentati nell'ASEAN sono tesi. L’ASEAN, in effetti, per la prima volta ha deciso di schierarsi in una faccenda interna di uno Stato membro, contrariamente all’abitudine di considerare le questioni politiche interne non di loro competenza, essendo parte della sovranità dei singoli paesi. Da parte sua, Min Aung Hlaing non ha ottemperato agli accordi presi con l’ASEAN di accogliere un loro inviato che avrebbe dovuto anche incontrare gli esponenti del governo spodestato. Incontro che non è mai avvenuto. L’imbarazzo dell’ASEAN è oggi aggravato dalla visita ufficiale che il Presidente Cambogiano Hun Sen, neo-Presidente dell’Associazione per un anno, dal 1° gennaio 2022, ha fatto in Myanmar il 7 gennaio scorso, incontrando le alte cariche militari ma senza incontrare l’opposizione (e tanto meno Aung San Suu Kyi).
Quello che si vede è un ripetitivo carosello diplomatico con scarso entusiasmo e poca enfasi, oltre a lentezze. Cina e Russia hanno da sempre bloccato condanne più risolute dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. L’America ha definito sanzioni, l’Unione Europea ripete forte condanna per gli eventi in Myanmar e ha aumentato le sanzioni già in corso, ma senza un impatto specifico. Continua comunque a dare assistenza umanitaria in accordo con i principi di umanità, neutralità, imparzialità ed indipendenza, attraverso Organizzazioni Non-Governative, principalmente europee. Ha destinato 24.5 milioni di Euro in aiuto umanitario per rispondere alle necessità immediate degli sfollati e delle comunità colpite dal conflitto e da situazioni relative al COVID-19, e altri 65 milioni di euro per le necessità primarie delle popolazioni civili.
Forse l’unico elemento rilevante sul fronte internazionale è il ritiro delle compagnie petrolifere Total (francese) e Chevron, che sfruttavano i ricchi giacimenti del Myanmar (foraggiando i militari e fornendo materiale bellico nonostante le sanzioni). Ma la Thailandia è stata rapida a prendere il posto degli occidentali.
Quali sono gli eventi che a livello popolare hanno caratterizzato quest’anno?
Il popolo dopo essersi appellato ai vari organismi internazionali tutti con le mani legate ha capito di dover intraprendere la sua propria lotta.
La popolazione ha risposto con grande coraggio e determinazione ma anche purtroppo con uno squilibrio di forze di fronte a militari inferociti resi più crudeli da forme diffuse di resistenza armata.
Nei vari distretti si sono formate spontaneamente le Forze di Difesa Popolare (People Defense Forces) che attaccano i militari con imboscate, scontri frontali o azioni di guerriglia contro le postazioni militari. La conseguenza drammatica è che la risposta da parte dell’esercito, che ha mobilitato ingenti forze nei territori degli stati Chin, Kachin, Shan e Kayah, è ogni giorno più cruenta. Benché siano pochi i reportage o le notizie dal Myanmar in questi giorni, anche dovuto al controllo sui giornalisti e la chiusura di alcuni mezzi di comunicazione, trapelano notizie di uccisioni, torture e devastazioni e distruzioni di interi villaggi. Le forme in cui l’esercito della giunta uccide sono spesso intese a scoraggiare con il terrore e il raccapriccio chi volesse di nuovo affrontare i militari e i rapporti sulle violazioni dei diritti umani sono sempre più drammatici.
Questi scontri su tutto il territorio hanno creato masse di rifugiati e sfollati interni molti dei quali si ammassano in particolare sui confini con l’India e la Thailandia. Si stima che le popolazioni profughe superino il numero di 400.000 persone tra cui 140.000 bambini.
Secondo dati della Banca Mondiale, la significativa caduta del PIL e la grave situazione economica, porterebbe nei prossimi mesi circa 25 milioni di persone, cioè la metà della popolazione, in condizioni di povertà.
In questo momento in cui l'attenzione internazionale è rivolta a diversi fronti non va dimenticata la situazione del Myanmar, un paese con enormi potenzialità che con il colpo di stato è entrato in un percorso di violenza, indebolimento delle strutture democratiche, frustrazione e impotenza. La comunità internazionale non può lasciare abbandonata a se stessa una popolazione che sta vivendo una tragedia e sofferenze indicibili e che, nonostante il coraggio e la lotta, sta perdendo il proprio futuro.