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articolo di Martina Ginosa e Laura Graziano
Lo scorso 30 aprile, il trono del Crisantemo, considerato la monarchia più antica del mondo, è stato protagonista di un evento storico: l’abdicazione dell’Imperatore Akihito, in carica dal 1989. Nell’agosto 2016, l’allora ottantaduenne tenno aveva annunciato la sua intenzione di abdicare, giustificata dai problemi di salute che rendevano difficile gestire gli impegni istituzionali. Nel dicembre 2017 fu ufficializzata la data dell’abdicazione: il 30 aprile 2019, con l’insediamento del successore Naruhito, figlio di Akihito, previsto per il 1° maggio. È la prima volta che nel Giappone post- modernizzazione si assiste ad un tale evento; l’ultimo imperatore che abdicò prima di Akihito fu Kokaku, nel 1817. Un’azione talmente rara e non prevista che il Parlamento giapponese dovette creare una legge apposita per permettere ad Akihito di ritirarsi.
L’abdicazione di Akihito sancisce il passaggio a una nuova era, in quanto in Giappone a ogni Imperatore corrisponde un’era (a partire dal 1862), utilizzata anche per il computo degli anni parallelamente al calendario gregoriano. L’era dell’Imperatore Akihito, iniziata nel 1989 e appena conclusasi è la Heisei, che ha lasciato il posto all’era Reiwa.
Il nome dell’era in Giappone è una scelta molto importante, infatti definisce i “propositi” con cui il nuovo imperatore sale al trono. Akihito con la scelta del nome Heisei, “pace raggiunta”, portò un messaggio di cambiamento, dopo un periodo di guerre che hanno lasciato al paese diverse cicatrici.
Infatti, sebbene la Costituzione giapponese descriva l’Imperatore come un “simbolo dello Stato”, una definizione un po’ fredda e distante, Akihito ha dato un’interpretazione piuttosto diversa rispetto ai suoi predecessori, impegnandosi a creare una relazione di vicinanza con i suoi sudditi. Insieme alla consorte Michiko (la quale, peraltro, non ha origini aristocratiche) è stato costante nel portare avanti i suoi ideali, ad esempio visitando i luoghi colpiti da calamità naturali: la coppia imperiale ha visitato, infatti, per sette settimane di fila la zona colpita dal terremoto del Tohoku nel 2011. Inoltre, Akihito è stato il primo Imperatore regnante a visitare la prefettura di Okinawa nel 1993, sebbene l’avesse già visitata nel 1975 come Principe ereditario, per portare omaggio alle vittime della guerra.
A dispetto di alcune istanze conservatrici, ha offerto le scuse del Paese alla Cina e alla Corea del sud per i crimini di guerra. Probabilmente il fatto di aver vissuto il conflitto mondiale in prima persona ha portato l’Imperatore emerito a essere particolarmente attento a questo tema, in un modo che probabilmente non sarà possibile in futuro, con la scomparsa di queste generazioni.
Sebbene una certa visione del ruolo imperiale voglia che l’Imperatore sia distante dal popolo, per conservare la rispettabilità e aura mistica del Trono del Crisantemo, il regno di Akihito ha contribuito a umanizzare la figura del sovrano giapponese, sacrificandone la sacralità a favore della vicinanza e intimità con i sudditi.
Per mettere in atto l’abdicazione e il passaggio di consegne al nuovo imperatore è stato necessario officiare una serie di rituali legati alla tradizione shintoista. La serie di rituali è iniziata nel mese di marzo, con una cerimonia all’interno del Palazzo Imperiale in cui Akihito ha offerto ai propri antenati la sua decisione di abdicare e alla fine del mese una visita con la consorte al santurio di Jinmu, il primo leggendario Imperatore del Giappone, nella prefettura di Nara. Nel mese di aprile i rituali sono proseguiti con la visita ai grandi santuari di Ise e al mausoleo dell’Imperatore Showa, suo padre. L’ultimo rituale che ha coinvolto Akihito è stato alla fine di aprile, quando ha annunciato la sua rinuncia al trono con un discorso ufficiale.
Anche il neo Imperatore Naruhito è protagonista di una serie di cerimonie necessarie per la sua ascesa al trono: l’8 maggio in un rituale di presentazione agli antenati presso il Palazzo Imperiale, il 22 ottobre, giorno dell’ufficiale cerimonia di incoronazione e il 14 e 15 novembre per la festa Daijosai.
Oltre alle cerimonie, il passo importante che ha lasciato il mondo intero col fiato sospeso è stato l’annuncio del nome dell’era. Il significato dei singoli kanji di “Reiwa”, soprattutto all’estero, ha creato non poco disagio, infatti tra le prime traduzioni erano emersi termini come “comando” o “ordine”. È stato necessario l’intervento del ministero degli esteri per chiarire l’equivoco: l’ideogramma di “rei”, in questo caso, prende il significato dal suo uso nel libro “Manyoshu” - l’antologia di poesie più antica esistente in Giappone – andando così a costituire insieme a “wa” il nome “bella armonia”.
Dall’altra parte, nel Paese del Sol Levante la nuova era è stata accolta con grandi festeggiamenti tra cui la sfilata degli Shishimai (danza dei leoni giapponesi che si crede cacci via gli spiriti malvagi).
Le registrazioni dei matrimoni hanno avuto un picco improvviso passando da 70-80 (media giornaliera) a 280 solo per il primo giorno dell’epoca Reiwa. Il 30 Aprile nel famoso incrocio di Shibuya, Tokyo, si è radunata un’enorme folla per il countdown che accompagnava la fine di un ciclo e l’inizio di un altro. Molti dei presenti hanno dichiarato di essere nati nel primo anno dell’era Heisei e di volerla quindi salutare riunendosi per una festa con una sfumatura un po’ malinconica, in vero stile giapponese.
L’1 Maggio il nuovo imperatore Naruhito, che ha fatto la sua prima apparizione nel suo nuovo ruolo, è stato accolto da più di 140 mila persone, che hanno riposto le loro speranze nella figura del sovrano aspettandosi un proseguimento di quello che è stato il regno del padre, con un rafforzamento ulteriore delle relazioni con i paesi esteri.