L'esploratore del duce

Stampae-mailPDF

Enrica Garzilli

L’ESPLORATORE DEL DUCE

Edizioni Memori-Asiatica Association, Roma-Milano, 2012,

Vol. I, pp. 740, ISBN 9788890022654

Vol. II, pp. 742, ISBN 9788890022661

Euro 35,00 cad.

 


I volumi di Enrica Garzilli hanno due protagonisti: uno dichiarato -- Giuseppe Tucci, la cui biografia umana e scientifica è puntualmente esplorata nelle quasi 1500 pagine dell’opera -- l’altro meno evidente: la politica estera italiana, in particolare la politica estera italiana verso l’ampio (e spesso mal differenziato) “Oriente”, inteso qui come oriente asiatico. A grandi linee, i tratti biografici di Tucci sono noti: nato a Macerata il 5 giugno 1894, morto San Polo dei Cavalieri il 5 aprile 1984, è stato uno dei “padri nobili” dell’orientalistica italiana. Linguista e storico delle religioni, viaggiatore, esploratore, esperto di Tibet, buddismo e tantrismo, scrittore prolifico, sia in ambito scientifico che divulgativo, ha condotto e diretto, dal 1926 alla fine degli anni Settanta, spedizioni archeologiche in Tibet, India, Afghanistan e Iran. Accademico d’Italia, ha inoltre fondato, insieme con Giovanni Gentile, l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO), che ha presieduto fra il 1947 e il 1978, contribuendo a farne un importante punto di raccordo fra le varie branche degli studi orientalistici italiani. Più sottilmente, egli è stato, tuttavia, anche uomo che – nell’ambito delle proprie competenze – ha contribuito in modo importante a strutturare la postura internazionale dell’Italia.

 

Pur se incentrata sulla vita e le opere dell’“esploratore del Duce”, una biografia di Giuseppe Tucci costituisce quindi anche, per molti aspetti, una biografia politica dell’Italia, che evidenzia quante e profonde siano le continuità che tagliano la “cesura” del 1945 e come – a lungo – l’Italia sia stata capace di pensare il proprio ruolo ben oltre i limiti del Mediterraneo. Lo stesso Mussolini, in un memorandum del 1940, osservava: «I nostri obiettivi si compendiano in questa affermazione: libertà sui mari, finestra sull’Oceano. L’Italia non sarà veramente una Nazione siano a quando avrà a sbarre alla sua prigione mediterranea la Corsica, Biserta e Malta, e a muro della stessa prigione Gibilterra e Suez […] se vuole essere una potenza veramente mondiale, [l’Italia] deve risolvere il problema delle sue frontiere marittime». Anche per questo, l’Italia ha rivolto all’Asia un’attenzione particolare. I movimenti del nazionalismo asiatico, a loro volta, hanno spesso mostrato attenzione per l’esperienza nazionale italiana e per il Risorgimento. Fra Italia e Asia è anzi esistito un sentimento di “simpatia” che, negli anni, ha agevolato le relazioni diplomatiche e ha consentito al nostro Paese di giocare un ruolo ben maggiore di quello che il suo “semplice” peso geopolitico avrebbe potuto permettergli.

Due esempi possono illustrate questa affermazione. Fin dal 1939 il rappresentante diplomatico italiano a Kabul, il Ministro Pietro Quaroni (poi Ambasciatore d’Italia a Mosca fra il 1946 e il 1958), svolse una parte importante nell’alimentare i movimenti anti britannici, sia all’interno del Raj (ad es., favorendo la fuga dell’ex leader del Partito del Congresso, Subhas Chandra Bose, dagli arresti domiciliari a cui era confinato nel gennaio 1941), sia all’esterno, sostenendo, fra l’altro, la guerriglia del Mirza Ali Khan, il Faqir di Ipi, tanto da essere etichettato, più ancora che il suo collega tedesco Pilger, come la «forza motrice» (driving spirit) dietro la scelta di stabilire con lui contatti diretti. In altri anni e in un altro contesto, fra l’autunno e l’inverno 1966, l’Ambasciatore d’Italia a Saigon, Giovanni d’Orlandi, insieme al suo omologo polacco Lewandowski e in contatto con quello statunitense Cabot Lodge, fu al centro di colloqui esplorativi (operazione Marigold) per cercare di giungere a una soluzione negoziata della crisi vietnamita; colloqui successivamente abortiti soprattutto a causa dell’atteggiamento di chiusura dell’amministrazione Johnson ma significativamente precedenti a quelli (egualmente falliti) promossi dal Primo Ministro britannico Harold Wilson e da quello sovietico Aleksej Kosygin nel febbraio seguente.

In questa prospettiva, non stupisce che un accademico come Tucci abbia partecipato a delineare la politica estera italiana. Negli anni Trenta, quando si dispiega il grosso della sua attività in Tibet, nel Paese opera anche una serie di missioni tedesche (ad es., le spedizioni Schäfer e Aufschnaiter/Harrer, del 1938-39), che agli obietti scientifici ufficiali sommano la volontà di tessere legami politici con le autorità locali. Ciò, peraltro, non vale solo negli anni del fascismo. Quando, nel 1947, una complessa e sanguinosa Partition diede vita agli Stati indipendenti del Pakistan e dell’Unione Indiana, la neonata Repubblica Italiana fu sollecita ad avviare con entrambi nuove relazioni politiche, diplomatiche e culturali, alle quali Tucci e l’IsMEO (riaperto dopo la chiusura “politica” del 1943 proprio sotto la presidenza di Tucci) fornirono un importante contributo. Se Giuseppe Tucci è stato, quindi, per molti aspetti l’“esploratore del Duce” che i volumi di Enrica Garzilli tratteggiano, egli è stato anche (e anche questo è ampiamente tratteggiato nei volumi in questione) un importante “esploratore della Repubblica”, come attestato dalla sua attività nello Swat (1956-), a Ghazni (1957-64), in Sistan-Baluchistan (1960-65) e a Persepoli (1965-78), sulle orme di George Tate e di Ernst Herzfeld.

 

Gianluca Pastori

Recensore: 
Gianluca Pastori
Area: 
Asia generale
Data pubblicazione: 
21/10/2014