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Bronzo dorato - Tibet XVI sec. - collezione Ghiringhelli
articolo di Vanna Scolari - foto di Gemma D'Alessandro
Rappresenta VAJRAVĀRĀHĪ, da Vajra : fulmine – diamante; Varāha : cinghiale = la Scrofa adamantina, così chiamata per la testa di cinghiale che appare nella parte posteriore della sua figura. Il cinghiale è simbolo della sua inarrestabile energia, del suo potere di raggiungere la liberazione, superando ogni ostacolo.
Vajravarahi - वज्र-वाराही - rdo rje phag mo Dorje Pakmo - è una manifestazione di Vajrayogini ed è in genere rappresentata danzante con in una mano il katarī ( katri-karttanī – karttarī ) il coltello rituale con lama a forma di mezzaluna e nell’altra la tazza-teschio, kapāla, piena di sangue. Nei dipinti è di colore rosso e a volte, invece del katari porta il vajra. E’ una delle divinità femminili più popolari in tutte le tradizioni del Buddhismo Tibetano. Ha dodici nomi e colui che li recita tre volte al giorno diventa bello, saggio, libero da ogni malattia e vive anche centinaia d’anni.
Vajravārāhī, con la sua danza, incarna l’energia che dà la possibilità al meditante di sperimentare la Meravigliosa Felicità dell’unione tra saggezza, Prajñā e compassione, karuṇā. Il suo splendore è simile al fuoco che arde alla fine dell’eone, consumando i regni oscuri dell’ignoranza e del desiderio.