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Nonostante i portoghesi siano stati i primi occidentali a entrare in contatto con il Giappone fin dal Cinquecento, nella letteratura portoghese si trovavano pochissimi testi relativi a quel paese e alla sua storia e cultura: qualche capitolo delle Peregrinaçao di Fernao Mendez Pinto (XVI secolo), alcuni scritti di missionari gesuiti dei secoli XVI e XVII e niente di più.
Le opere di Wenceslau de Moraes, tra fine Ottocento e inizio Novecento, giungono a colmare questa lacuna e lo fanno con la forza e la valenza di una conoscenza approfondita e di prima mano, sostenuta da una sincera passione e ammirazione per la realtà descritta. In particolare, la fascinazione per il Giappone è straordinariamente coinvolgente e le sue opere ne sono intrise.
O culto do cha - Il culto del tè - pubblicato nel 1905, riprende e approfondisce un tema più volte trattato da Wenceslau de Moraes: le tradizioni, i riti, le leggende, l’estetica, la filosofia che sottendono, in Giappone, alla cultura del tè e specialmente alla ritualità della cerimonia cha-no-yu. De Moraes ne scrive lasciando trasparire tutta la sua incondizionata ammirazione, ma senza poter nascondere completamente il rammarico di sentirsi considerato, sempre e comunque, un ospite straniero, pur ben accetto e trattato con squisita e ineccepibile cortesia. Le sue pagine sono percorse da un’acutissima e delicata sensibilità estetica, non disgiunta da sottile ironia e senso dell’umorismo, sensuale ammirazione per la grazia elegante delle donne giapponesi e vera e propria venerazione per le tradizioni del Sol Levante.